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Legge Pinto: il termine di ragionevole durata per i processi in unico grado

  Pubblicato il 13 Gen 2016  10:20
Cassazione Civile, Sezione VI Civile, Sottosezione 2, sentenza 03/09/2015 n° 18839
In seguito alla modifica della Legge n. 89/2001 sulla ragionevole durata dei processi ad opera del D.L. n. 83/2012 (convertito con modifiche nella Legge n. 134/2012), all'art. 2 sono stati aggiunti i commi 2-bis e 2-ter.
Il comma 2-bis dispone, tra l’altro, che “si considera rispettato il termine ragionevole (...) se il processo non eccede la durata di tre anni in primo grado, di due anni in secondo grado, di un anno nel giudizio di legittimità. (...)”.
Il successivo comma 2-ter prevede che “si considera comunque rispettato il termine ragionevole se il giudizio viene definito in modo irrevocabile in un tempo non superiore a sei anni”.
Quest'ultima disposizione ha dato luogo a due divergenti interpretazioni: da un lato, vi era chi riteneva che la norma fosse applicabile soltanto nelle ipotesi di giudizi presupposti svoltisi in 3 gradi di giudizio (primo e secondo grado di merito e cassazione); dall’altro, chi ne sosteneva l’applicabilità tout court ad ogni procedimento presupposto, anche qualora svoltosi in primo ed unico grado; con l’ovvia conseguenza, in tale ultima ipotesi, che il giudizio di primo grado, in assenza di impugnazioni, sarebbe potuto benissimo durare fino a 6 anni senza poter ritenere irragionevole tale durata.
La vicenda che ha dato luogo alla pronuncia della Suprema Corte in commento concerne proprio un’ipotesi in cui la Corte d’Appello di Genova, chiamata a liquidare l’indennizzo per l’irragionevole durata di un processo presupposto svoltosi dinanzi al T.A.R. della Toscana e durato 5 anni e 6 mesi, aveva respinto la richiesta, ritenendo ragionevole tale durata, richiamando appunto il citato comma 2-ter dell’art. 2.
Anche la successiva opposizione a tale decisione proposta dal ricorrente aveva trovato esito negativo. 
In particolare, il ricorrente-opponente aveva evidenziato che l’art. 2, comma 2-ter della legge n. 89/2001 non risultava applicabile ai giudizi svoltisi in primo ed unico grado; pena, in caso contrario, la potenziale antinomia e contrasto tra norme (cioè tra la disposizione de qua e quella contenuta nel precedente comma 2-bis). Dovendosi in ogni caso operare un’interpretazione costituzionalmente orientata del comma 2-ter, nel senso appunto della sua inapplicabilità ai giudizi svoltisi in primo ed unico grado.
Rilevava, infatti, l’opponente che l’ormai più volte citato comma 2-ter avrebbe in realtà positivizzato uno dei principi invalsi in seno alla Corte di Strasburgo e fatti propri anche dalla Corte di Cassazione; il principio secondo cui, in tema di equa riparazione, pur essendo possibile individuare degli standard’ di durata media ragionevole per ogni fase del processo, quando quest’ultimo si sia articolato in vari gradi e fasi, così come accade nell’ipotesi in cui il giudizio si svolga in primo grado, in appello e in cassazione, agli effetti dell’apprezzamento del mancato rispetto del termine ragionevole occorre avere riguardo all’intero svolgimento del processo medesimo, dall’introduzione fino al momento della proposizione della domanda di equa riparazione, dovendosi cioè addivenire ad una valutazione sintetica e complessiva del processo, così da sommare globalmente tutte le durate, atteso che queste ineriscono all’unico processo da considerare.
Talché, tenuto fermo il fatto che l’intero procedimento, in tutti i suoi gradi, debba svolgersi nel termine massimo di 6 anni (3 in primo grado, 2 in secondo ed 1 in Cassazione), la valutazione sulla ragionevole durata andrà parametrata non ai singoli gradi, ma alla durata complessiva degli stessi, tenuto conto della loro ragionevole durata come prescritta dalla legge. Cioè a dirsi:
- qualora un procedimento si sia svolto in primo ed unico grado, la sua durata ragionevole massima dovrà essere comunque di 3 anni;
- qualora si sia, invece, svolto in due gradi di giudizio, la sua durata ragionevole massima complessiva dovrà essere di 5 anni; talché il termine ragionevole sarà rispettato anche nell’ipotesi in cui, ad esempio, il primo grado si sia svolto in 4 anni ed il secondo in 1 anno;
- qualora, infine, si sia svolto in due gradi di merito ed in Cassazione, la sua durata ragionevole massima complessiva dovrà essere di 6 anni; talché il termine ragionevole sarà rispettato anche nell’ipotesi in cui, ad esempio, il primo grado si sia svolto in 4 anni ed il secondo e la Cassazione siano durati 1 anno ciascuno.
Pertanto, concludeva l’opponente, nei casi di processi presupposti svoltisi in primo ed unico grado, dovrà farsi esclusiva applicazione dell’art. 2, comma 2-bis della Legge n. 89/2001 (e non anche al successivo comma 2-ter) al fine di verificarne la ragionevole durata, che – per un processo per così dire ‘standard’ – non dovrà essere superiore ai 3 anni.
Pena, in caso di necessaria diversa interpretazione normativa, l’illegittimità costituzionale della disposizione in esame.
Come detto, anche in sede di opposizione la Corte territoriale ha respinto le richieste del ricorrente, ritenendo che il comma 2-ter si profilasse come una sorta di norma di chiusura del sistema “volta ad escludere, indipendentemente dall’effettiva durata dei singoli gradi, l’esistenza di un ritardo risarcibile nel caso in cui il procedimento presupposto sia comunque giunto alla sua irrevocabile definizione in un periodo complessivamente non superiore a sei anni” e che tale norma non vanificasse né eludesse la portata delle altre, ma ne precisasse i confini di operatività, “avendo il Legislatore ritenuto suscettibili di equa riparazione l’ansia, il disagio ed altri eventuali nocumenti vissuti da chi sia stato parte di un processo non protrattosi, nel suo complesso, per più di sei anni (senza che a conclusione diversa induca, di per sé, l’eventuale eccedenza temporale, rispetto ai criteri fissati dal comma 2-bis, di uno dei gradi in cui il processo si è sviluppato)”.
La vicenda è quindi approdata dinanzi alla Corte di Cassazione, la quale – chiamata a pronunciarsi sull’esatta interpretazione delle norme più volte richiamate – con la sentenza n. 18839/2015 ha pienamente sconfessato le tesi propugnate dalla Corte territoriale di Genova.
Rileva, infatti, la Suprema Corte: “Nell’affermare che sia comunque ragionevole una durata di sei anni per ogni processo, indipendentemente dal fatto che questo abbia richiesto, fino alla sua definizione, uno o più gradi di giudizio, la Corte distrettuale ha fornito un’inammissibile interpretazione abrogante del(la anzi detta prima parte del) comma 2-bis cit. È di evidenza solare che se il significato del comma 2-ter cit. fosse quello propugnato dalla Corte genovese, sarebbe del tutto inutile la previsione dei termini massimi di durata che il comma 2-bis dettaglia per ogni grado o fase del giudizio. Per contro, è altrettanto chiaro che il comma 2-ter costituisce norma di chiusura che implica una valutazione complessiva del giudizio articolato nei tre gradi, e non opera, perciò, con riguardo ai processi che si esauriscono in unico grado”.
In sostanza, la Corte di Cassazione ha correttamente ritenuto che la disposizione del comma 2-ter debba essere interpretata in continuità con il comma che la precede; nel senso cioè che tale disposizione – nel mantenere fermi i limiti di durata ragionevole fissati nel comma 2-bis – lungi dall’allungare a sei anni il periodo di definizione di un processo che si sia esaurito in un unico grado di giudizio, detti una norma di chiusura, introducendo una valutazione sintetica e complessiva del processo che si sia articolato in tre gradi di giudizio, consentendo così di escludere la configurabilità del superamento del termine di durata ragionevole tutte le volte in cui la durata dell’intero giudizio, nei suoi tre gradi, sia contenuta nel parametro complessivo di sei anni, e di trascurare, al contempo, il superamento registrato in un grado, quando questo sia stato compensato da un iter più celere rispetto allo standard nel grado precedente o successivo.
La pronuncia della Cassazione in rassegna, oltre che corretta, si profila di notevole importanza, dal momento che la tesi propugnata dalla Corte di appello di Genova avrebbe comportato in moltissimi casi, illegittimamente, l’esclusione dell’indennizzo per l’irragionevole durata dei processi.
Infatti, allo stato attuale, con l’introduzione dei filtri in appello ed in Cassazione, nonchè con i notevoli aumenti degli importi del contributo unificato in sede di proposizione delle impugnazioni e comunque con i sempre maggiori costi della Giustizia, molti giudizi si chiudono in primo ed unico grado e, salvo casi limite, è difficile che il primo grado superi la durata di 6 anni.