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Specializzandi ante 1983: sì al risarcimento ma resta il problema della prescrizione

  Pubblicato il 10 Dic 2015  11:39
Come noto, la responsabilità dello Stato per la mancata o tardiva attuazione delle direttive europee è duplice: da un lato verso l’Unione Europea per la violazione dello stesso diritto europeo, dall’altro verso i cittadini i quali non hanno acquisito la titolarità di uno e più diritti a causa di detto mancato o tardivo recepimento.

Con riguardo all’ordinamento interno, trattasi di obbligazione ex lege di natura indennitaria per attività non antigiuridica, riconducibile all’area della responsabilità contrattuale (cfr. Cass. Sezioni Unite n. 9147/2009).

Preme premettere che, quanto alle disposizioni europee che prevedevano un’adeguata remunerazione per i medici partecipanti ai corsi di specializzazione (direttive nn. 362-363/75 e n. 82/76, con termine per l’attuazione rispettivamente il 20.12.1976 e il 31.12.1982), l’Italia si è adeguata solo parzialmente e tardivamente.

In particolare, il D.Lgs. n. 257 del 1991 introduceva all’art. 6 le borse di studio per gli ammessi alle scuole di specializzazione a decorrere dall’anno 1991, mentre la L. n. 370 del 1999 prevedeva all’art. 11 la corresponsione di borse di studio agli specializzandi ammessi alle scuole predette negli anni 1983-1991, limitatamente ai destinatari di sentenza passate in giudicato del TAR Lazio.

Si generava quindi un consistente contenzioso, tutt’ora in corso, per i medici che avevano seguito un corso di specializzazione negli anni 1983-1991, non beneficiari di sentenze irrevocabili del TAR Lazio.

La giurisprudenza di legittimità ha a più riprese affermato che non trova giustificazione, alla luce del diritto europeo, la predetta limitazione di cui all’art. 11, in quanto essa subordina il riconoscimento, in ambito interno, di un diritto attribuito ai singoli da direttive comunitarie in condizioni non contemplate dalle direttive medesime (Cass. 17682/11).

Ciò premesso, preme trattare l’arresto dettato dalla sentenza in commento, che si pone in contrasto con l’orientamento secondo cui non spetterebbe alcun risarcimento a quanti risultino avere già iniziato un corso di specializzazione alla data del 31.12.1982, non essendosi prodotto alcun inadempimento da parte dello Stato a tale data (Cass. 17067/13).

La vicenda in esame vede interessato un medico che, avendo conseguito la specializzazione (di durata quadriennale) in geriatria e gerontologia nell’anno accademico 84/85, chiedeva l’indennizzo per l’omessa trasposizione nel diritto interno da parte dello Stato Italiano delle direttive nn. 362-363/75 e 82/76 in materia di formazione dei medici specializzandi.

Il primo grado di giudizio vedeva soccombere il medico, mentre in appello il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca veniva condannato al pagamento della somma di € 26.855,76 a titolo dell’indennizzo richiesto.

Per la cassazione della sentenza d’appello ricorreva il Ministero, affidandosi ad un solo articolato motivo, lamentando violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115, 116 e 342 c.p.c., delle direttive comunitarie 362-363/75 e 82/76, dell'art. 2043 c.c., del D.Lgs. n. 257 del 1991 e del D.M. 31 ottobre 1991, perché la specializzazione medica conseguita dall'intimato non sarebbe stata compresa fra quelle richiamate dalle suddette direttive comunitarie e perché il risarcimento del danno da omessa trasposizione potrebbe riconoscersi solo per i corsi di specializzazione medica cominciati dal 01.01.1983 fino all'anno accademico 1990-
1991.

Con la pronuncia citata la Suprema Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso proposto dal Ministero, ritenendo il motivo infondato.

Gli ermellini richiamano i principi enunciati dalla Corte di Giustizia Europea, circa il carattere incondizionato e sufficientemente preciso dell'obbligo di retribuzione per i medici specializzandi, indicando, come rimedio alle conseguenze pregiudizievoli della tardiva ed incompiuta attuazione della relativa direttiva, la cd. applicazione retroattiva e completa delle misure di cui alla norma comunitaria, con conseguente possibilità di risarcire tutti coloro che hanno subito un danno, senza effettuare alcuna distinzione in ordine all'anno di iscrizione al corso di specializzazione.

Ne consegue che la limitazione ai soli medici iscritti a tali corsi a partire dal 31 dicembre 1982 non trova riscontro nelle direttive nn. 363/75 e 82/76, anzi, è indirettamente smentita dall'art. 14 di quest'ultima direttiva, secondo cui "le formazione a tempo ridotto di medici specialisti iniziate prima del gennaio 1983, in applicazione dell'articolo 3 della direttiva 75/363/CEE, possono essere completate conformemente a tale articolo".

Parimenti, detta limitazione si pone in contrasto con il principio del primato del diritto comunitario e confligge con il criterio della la cd. applicazione retroattiva e completa delle misure di attuazione della norma europea comportante la previsione della possibilità di risarcire tutti coloro che avevano subito un danno.

Inoltre, nel caso di specie, sono soddisfatte le tre condizioni per impegnare la responsabilità di uno Stato membro dell'Unione Europea per la mancata attuazione della direttiva, quali: 1) il risultato prescritto dalla direttiva stessa, ancorché non selfexecuting, deve implicare l'attribuzione di diritti a favore dei singoli; 2) il contenuto di tali diritti può essere individuato sulla base delle disposizioni della direttiva; 3)
deve esistere un nesso di causalità tra la violazione dell'obbligo a carico dello Stato ed il danno subito dai soggetti lesi (sentenza CGUE, 19 novembre 1991, Francovich e Bonifaci, cause riunite C-6/90 e C-9/90).

Nella fattispecie interessata, i diritti attribuiti dalle sopra citate direttive (illegittimamente non trasposte dal legislatore nazionale) consistevano nella possibilità di poter conseguire il diploma in modo certificato ai fini comunitari da utilizzare in ambito europeo, nonché nell’adeguata remunerazione per la formazione sia a tempo pieno che parziale.

La negazione di tali diritti ha integrato un danno evento per la mancata attuazione delle predette direttive, in relazione al quale lo Stato Italiano è tenuto a rispondere a prescindere da colpa per il sol fatto della gravità della violazione del diritto europeo.

Come ultimo argomento, la sentenza de qua, sottolinea che, essendo il rapporto derivante dall'iscrizione ad un corso di specializzazione, da parte del medico, un rapporto di durata, nell'ambito del diritto interno ad esso trova applicazione il principio secondo cui la legge sopravvenuta disciplina il rapporto giuridico in corso allorché esso, sebbene sorto anteriormente, non abbia ancora esaurito i propri effetti e purché la norma innovatrice non sia diretta a regolare il fatto generatore del rapporto, ma il suo perdurare nel tempo (così Cass. 3385/01, Cass. 1851/01).

Pertanto, anche in relazione al corso di specializzazione in corso nell’anno 1983, andrà riconosciuto il risarcimento del danno per mancato recepimento delle direttive de quibus.

In conclusione, la Suprema Corte ha ritenuto meritevole di risarcimento il danno da mancata trasposizione nel diritto interno delle direttive nn. 362-363/75 e 82/76, anche per i corsi di specializzazione iniziati antecedentemente all’anno 1983, ancorché in corso alla data del 01.01.1983.

Apparentemente la recentissima ed innovativa pronuncia in commento (rispetto alle precedenti che riconoscevano come discrimen il fatto che l’iscrizione fosse successiva al 31.12.1982, cfr. Cass. 21729/12 e 17067/13) permetterebbe di aumentare la platea dei potenziali ricorrenti che richiedono di ottenere l’indennizzo in virtù della frequentazione di un corso di specializzazione alla data del 01.01.1983, a prescindere dalla data di iscrizione.

Si badi però che, la giurisprudenza maggioritaria afferma che il diritto all’indennizzo in favore dei medici ammessi ai corsi di specializzazione universitari maturati fino al 1999 è soggetto alla prescrizione decennale a decorrere dal 27.10.1999, data di entrata in vigore dell’art. 11 della L. n. 370 del 1999, trattandosi di diritto al risarcimento dei danni da ricondurre allo schema della responsabilità contrattuale per inadempimento dell’obbligazione ex lege dello Stato, di natura indennitaria (Cass. 10813/11, Cass. 4538/12, Cass. 3279/2013).

Aderendo a tale impostazione, la Suprema Corte ha recentemente rilevato che la disposizione di cui all’art. 4, comma 43, L. 183 del 2011, secondo la quale la prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante dal mancato recepimento delle direttive soggiace al termine quinquennale a norma dell’art. 2947 c.c., decorrente dalla data del fatto da cui sarebbero derivati i diritti previsti nella medesima direttiva, si applica solo ai fatti successivi alla sua entrata in vigore (Cass.
11034/2015).

A parere della scrivente, seppur sia corretta l’esclusione dell’applicazione retroattiva della L. 183/2011, non appare condivisibile l’assunto secondo cui con l’entrata in vigore della L. n. 370 del 1999, attributiva all’art. 11 della borsa di studio per gli anni 1983-1991 ai soli beneficiari di sentenze irrevocabili emesse dal giudice amministrativo, tutti gli aventi diritto ad una analoga prestazione, ma esclusi dall’art. 11, avrebbero avuto ragionevole certezza che lo Stato non avrebbe più emanato atti di adempimento della normativa europea de qua. Gli interventi legislativi del ’91 e del ’99 non sarebbero difatti interpretabili come significativi della volontà statuale inequivocabile di non procedere più all’ulteriore adempimento delle direttive nn.
362-363/75 e 82/76.

Invero, nell’ottica di sanare la situazione degli specializzandi, si sono susseguiti innumerevoli dibattiti parlamentari circa interventi legislativi da adottarsi, da ultimo sfociati nel disegno di legge presentato dal Senatore D’Ambrosio Lettieri avente ad oggetto un indennizzo forfettario, seppure sorretto da esigenze di contenimento della spesa per lo Stato.

Risulta dunque preferibile l’impostazione secondo cui il dies a quo andrebbe ravvisato esclusivamente nel momento dell’esatta e corretta trasposizione delle direttive, ad oggi non verificatasi.

Sul punto, si ricorda il principio reso dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea nella sentenza Emmott C-208/90, secondo cui “Finché una direttiva non è stata correttamente trasposta nel diritto nazionale, i singoli non sono in grado di avere piena conoscenza dei loro diritti. [...] Ne deriva che, fino al momento dell’esatta trasposizione della direttiva, lo Stato membro non può eccepire la tardività di un’azione giudiziaria avviata nei suoi confronti da un singolo al fine della tutela dei diritti, che ad esso riconoscono le disposizioni di tale direttiva, e che un termine di ricorso di diritto nazionale può cominciare a decorrere sola da tale momento” (così anche C-338/91).

Orbene, il D.Lgs. n. 257 del 1991, intervenuto peraltro tardivamente, non costituisce la compiuta e corretta applicazione delle direttive suindicate, provvedendo solo de futuro, lasciando intatta la situazione di inadempienza dal 01.01.1983 alla fine dell’anno accademico 1991-1992.

Del pari, la L. n. 370 del 1999 non può in alcun modo considerarsi una trasposizione completa, fedele ed esatta, prevedendo una limitazione soggettiva, lesiva dei principi europei di equivalenza ed effettività del diritto.

Ne deriva che lo Stato inadempiente non potrebbe eccepire l’intervenuta prescrizione decennale in relazione ad un’azione giudiziaria avviata da parte dei medici per il risarcimento indennitario per la mancata attuazione delle nominate direttive, in relazione alle specializzazioni ante 1991 (comprese quelle ante 1983 purché in corso alla data del 01.01.1983), posto che l’esatta trasposizione non è ad oggi intervenuta da parte del legislatore e lo Stato incorre in un illecito permanente, protraendosi la condotta non adempitiva de die in die. I soggetti interessati si troverebbero così in una situazione di attesa, conservando il proprio diritto risarcitorio.

Potrebbe dunque affermarsi che, nel caso in cui intervenga un atto legislativo di adempimento, rispetto alla direttiva, che sia parziale sotto il profilo soggettivo, nel senso che o provveda per il futuro o provveda riguardo a determinate categorie di soggetti fra tutti quelli cui la direttiva era applicabile, il corso della prescrizione per i soggetti esclusi non inizi a decorrere, poiché la residua condotta di inadempimento sul piano soggettivo continua a cagionare in modo permanente il danno e quindi a giustificare l’obbligo risarcitorio.

Di particolare rilievo, onde dirimere le problematiche in tema di termine prescrizionale, sarà l’esito del rinvio pregiudiziale (Corte d’Appello Firenze 18.11.09, C-452/09, in Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea 30.01.10), con cui tra i vari quesiti è stato richiesto “...se sia compatibile con l’ordinamento comunitario che ogni eccezione di prescrizione sia comunque preclusa fino alla corretta e compiuta trasposizione della direttiva che ha riconosciuto il diritto nella legislazione nazionale (nella specie mai avvenuto) come previsto dalla sentenza Emmott”.

Da ultimo, non di poco conto è il fatto che le direttive nn. 362-363/75 e 82/76 sono state abrogate dalla n. 16/93, la quale però ne ha confermato i contenuti, oltre a mantenerne i termini per il recepimento, e che la più recente direttiva n. 36/05, nel dettare una nuova disciplina per i medici specializzandi, all’art. 62 ha previsto l’abrogazione della direttiva n. 16/93 a far data dal 20.10.07. Alla luce di ciò, a tale data può dirsi cessato l’obbligo per lo Stato Italiano di adempiere, sia pure tardivamente, alla trasposizione della direttiva nel diritto interno (con conseguente cessazione della permanenza dell’illecito), restando tuttavia fermi gli obblighi risarcitori già sorti.