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Processo amministrativo: sì al deposito del fascicolo mediante spedizione postale

  Pubblicato il 02 Dic 2015  12:40
La Terza Sezione del Consiglio di Stato afferma un importante principio in tema di deposito del ricorso introduttivo e del relativo fascicolo, statuendo che esso non deve essere effettuato necessariamente di persona.
Con la sentenza n. 4984 depositata il 30/10/2015, infatti, il giudice d’appello ha riformato la sentenza di primo grado (T.A.R. Roma, Sez. II Quater, n. 6099 del 28/04/2015), la quale aveva dichiarato l’inammissibilità del ricorso proposto in quanto il plico contenente gli atti era stato fatto pervenire alla segreteria tramite il servizio postale.
Il giudice di primo grado si era così determinato constatando la mancanza di una specifica norma che consentisse tale modalità; l’art. 5, comma 1, del D.Lgs. 104/2010 (il Codice del Processo Amministrativo) prevede al riguardo che “Ciascuna parte, all'atto della propria costituzione in giudizio, consegna il proprio fascicolo, contenente gli originali degli atti ed i documenti di cui intende avvalersi nonché il relativo indice”; sulla base di ciò il giudice di primo grado aveva ritenuto che il termine “consegna” imponesse il materiale conferimento dei relativi documenti, da compiersi esclusivamente di persona (brevi manu).
Si segnala che il tenore della decisione n. 6099/2015 del T.A.R. Roma si situa nel solco di un orientamento stabilizzato della medesima Sez. II Quater, la quale si è più volte espressa in maniera analoga: solo per citarne alcune si vedano le sentenze n. 9230 del 08/07/2015, n. 9097 del 07/07/2015, n. 6612 del 11/05/2015, n. 4541 del 25/03/2015 e n. 4344 del 19/03/2015 (quest’ultima, corredata da ampia motivazione, è stata esplicitamente richiamata da quella impugnata nel caso in esame). 
Anche la Sezione Giurisdizionale del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, organo di appello avverso le decisioni rese in primo grado dai Tribunali Amministrativi Regionali di Palermo e di Catania, propese per l’inammissibilità di un simile modus procedendi con la sentenza n. 429 del 24/04/2012, ancorché resa nell’ambito di un giudizio del tutto particolare poiché afferente al peculiare rito elettorale il quale (art. 129, comma 3, lett. b, c.p.a.) prescrive anch’esso che il ricorso debba essere depositato, nei ristrettissimi termini ivi previsti, nella segreteria del tribunale adito; in quell'occasione aveva affermato che “la modalità di deposito per posta non è contemplata dall’art. 129 c.p.a.”, così aderendo alla tesi dell’irritualità del deposito compiuto servendosi del recapito postale, seppur non dichiarando espressamente l’irricevibilità di quell’impugnazione in quanto il plico era pervenuto in ritardo ed il ricorso era comunque non accoglibile per altri motivi.
Sennonché il Consiglio di Stato, con la sentenza in commento, ha sancito che un’interpretazione siffatta della disposizione legislativa si pone in insanabile contrasto sia con l’art. 156 c.p.c. (rubricato “Rilevanza della nullità” degli atti processuali) sia con la prassi universalmente seguita allorquando la consegna venga effettuata non dalla parte o dal proprio procuratore appositamente delegato bensì, come spesso accade, da collaboratori di quest’ultimo, da segretarie ovvero da altri soggetti non identificati; in questi casi, infatti, il fascicolo viene normalmente preso in carico senza che nessuno chieda a chi dichiara di voler eseguire il deposito, cioè all’individuo fisicamente presente nell’ufficio preposto, di declinare le proprie generalità.
Per quanto riguarda l’applicabilità dell’art. 156 c.p.c. , viene in rilievo il disposto di cui al terzo comma: “La nullità non puo' mai essere pronunciata, se l'atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato”; orbene, nella fattispecie in esame, a seguito del deposito avvenuto tramite la consegna del plico con il servizio postale, il ricorso è stato regolarmente iscritto a ruolo e l’Avvocatura dello Stato, per conto dell’Amministrazione resistente, si è non solo costituita ma ha anche successivamente proposto le proprie difese per iscritto, ed il procedimento ha poi seguito il suo corso sino all’udienza fissata in camera di consiglio per la discussione dell’istanza cautelare richiesta. 
Tutto ciò significa, secondo il Consiglio di Stato, che quella forma di deposito non poteva ritenersi nulla, dato che tale adempimento ha indubbiamente raggiunto lo scopo cui era diretto. 
Poiché la ratio della norma processual-civilistica è quella di permettere la più ampia libertà delle forme, a meno che vi siano espliciti divieti della legge, allora il T.A.R. capitolino, anziché decretare l’inammissibilità del ricorso, avrebbe dovuto tenere conto di queste finalità, tanto più che, appunto, nessuna norma sancisce l’obbligo di eseguire tale attività di persona, brevi manu; nella decisione in commento è dato leggere infatti che “il principio generale, desumibile dall’art. 156, c.p.c., è quello della libertà, o della equivalenza, delle forme degli atti processuali, richiedendosi solo che la forma concretamente adottata sia idonea allo scopo voluto dalla legge. In questa prospettiva, non occorre una norma espressa per legittimare una determinata forma; al contrario, occorre una norma espressa per vietarla, ovvero per renderla obbligatoria escludendo implicitamente tutte le altre. In questo caso, l’invio a mezzo posta non è espressamente consentito, ma non è neppure espressamente vietato. Sin qui, dunque, non si ha motivo per ritenerlo invalido e/o inefficace”.
La Terza Sezione del Consiglio di Stato afferma inoltre che occorreva porre mente anche alla prassi invalsa; ossia, come detto, alla possibilità ampiamente riconosciuta di far depositare il fascicolo anche da soggetti non identificati: è esperienza comune che le segreterie dei tribunali amministrativi accettino gli atti senza compiere alcuna indagine su coloro che materialmente provvedono a consegnarli.
Inoltre, nella fattispecie, trattandosi di verificare l’ammissibilità della consegna a mezzo del servizio postale, il recapito così avvenuto non poteva costituire impedimento alcuno al prosieguo del processo, anche in considerazione del fatto che non furono rilevate lacune nella documentazione inserita nel plico pervenuto; l’idoneità ai fini in questione dell’attività compiuta era esattamente pari a quella che si sarebbe ottenuta se la consegna fosse stata eseguita, se così si può dire, “tradizionalmente”, vale a dire mediante la presenza fisica di un qualunque incaricato alla bisogna.
Sancita la possibilità di procedere al deposito anche tramite spedizione postale del plico, dandone per scontata la completezza documentale, il Collegio di secondo grado si è interrogato sui rischi implicitamente connessi ad un tale sistema, dato che può capitare che la busta non arrivi – od arrivi in ritardo - a destinazione per inefficienza del servizio postale; sul punto il Consiglio di Stato precisa che non si può “estendere al deposito del ricorso giurisdizionale il principio che ai fini dei termini di decadenza vale la data di spedizione, non quella di ricevimento dell’atto. Pertanto il ricorso inviato a mezzo posta si dovrà ritenere depositato solo nel momento in cui pervenga effettivamente all’ufficio ricevimento, e vi pervenga con tutte le caratteristiche formali e tutti gli elementi di corredo che sono necessari per la sua acquisizione e la sua iscrizione nel registro generale”. 
In altre parole il mittente, diversamente da quanto riconosciuto in tema di spedizione dell’atto da notificarsi1 , ha l’onere di preoccuparsi che il plico riesca ad essere recapitato entro i termini di legge; ossia, salvi i particolari casi di abbreviazione (od estensione) degli stessi, entro trenta giorni dalla notificazione dell’atto stesso, così come previsto dal primo comma dell’art. 45 del c.p.a.: “Il ricorso e gli altri atti processuali soggetti a preventiva notificazione sono depositati nella segreteria del giudice nel termine perentorio di trenta giorni, decorrente dal momento in cui l'ultima notificazione dell'atto stesso si è perfezionata anche per il destinatario”.
L’arresto giurisprudenziale in commento appare espressione di un mutamento nell’impostazione del problema da parte della stessa Sezione Terza del Consiglio di Stato: con l’ordinanza n. 4097 del 10/09/2015, infatti, era stato respinto l’appello avverso l’ordinanza cautelare n. 1781 del 24/04/2015 (resa sempre dalla Sezione Seconda Quater del T.A.R. di Roma) che si era espressa, seppure solo in maniera sommaria trattandosi di decisione interinale, per la non ammissibilità del deposito del ricorso avanti ai Tribunali Amministrativi effettuato mediante consegna del plico attraverso il servizio postale.
A parere di chi scrive non si può che concordare con quanto sostenuto dal Consiglio di Stato con la decisione in esame: del resto, se ammettessimo, come sinora condivisibilmente avvenuto, da un lato la possibilità di far eseguire il deposito ad un qualunque non qualificato mandatario del ricorrente senza, dall’altro lato, far conseguire identico risultato qualora il deposito sia affidato alla ricezione della busta contenente tutto quanto legislativamente previsto, ci troveremmo di fronte ad un’applicazione eccessivamente formalistica delle norme, piuttosto difficile da giustificare; si rammenta infatti che la legge non esclude la possibilità di ricorrere a quest'ultima modalità per eseguire l'adempimento in questione, essendovi libertà di utilizzare la forma che si predilige con l’ovvio limite, ex art. 156, comma terzo, c.p.c., del raggiungimento dello scopo. 
Se la finalità perseguita è quella di consegnare gli atti, con la ricezione del plico gli atti sono effettivamente consegnati.
Tanto è vero che, nell’ambito del giudizio civile, la Suprema Corte di Cassazione ha da tempo ritenuto inaccoglibili le eccezioni proposte sul punto; tra le molte si legga quanto recentemente ed esaustivamente affermato dalla Prima Sezione con la sentenza n. 12509 del 17/06/2015, con riguardo anche al profilo relativo ai termini da rispettare: “circa gli effetti di una costituzione in giudizio effettuata mediante l’invio in cancelleria dell’atto difensivo a mezzo del servizio postale, va richiamato il principio di diritto, … secondo cui: l'invio a mezzo posta dell'atto processuale destinato alla cancelleria (nella specie, memoria di costituzione in giudizio comprensiva di domanda riconvenzionale) - al di fuori delle ipotesi speciali relative al giudizio di cassazione, al giudizio tributario ed a quello di opposizione ad ordinanza ingiunzione - realizza un deposito dell'atto irrituale, in quanto non previsto dalla legge, ma che, riguardando un'attività materiale priva di requisito volitivo autonomo e che non deve necessariamente essere compiuta dal difensore, potendo essere realizzata anche da un nuncius, può essere idoneo a raggiungere lo scopo, con conseguente sanatoria del vizio ex art. 156 c.p.c., comma 3: in tal caso, la sanatoria si produce con decorrenza dalla data di ricezione dell'atto da parte del cancelliere ai fini processuali, ed in nessun caso da quella di spedizione”.
Sarebbe però difficile, in caso di contestazioni non sulla ricezione della busta bensì sul suo contenuto, provare che tutti i documenti vi fossero stati inseriti; una soluzione potrebbe essere forse quella di usufruire di quei servizi, invero probabilmente un poco più dispendiosi rispetto alla normale raccomandata, atti a far emergere, con dichiarazione del vettore postale, quali fossero gli atti presenti all’interno del plico stesso prima della sua spedizione. 
E’ prevedibile tuttavia che una simile evenienza non si verifichi frequentemente, sia perché il deposito effettuato con la modalità ora descritta costituisce sicuramente un evento piuttosto raro, sia considerata l’accuratezza che, evidentemente, caratterizzerebbe l’attività di confezionamento del plico da parte della difesa del mittente, viste le pressoché irrimediabili conseguenze che si produrrebbero se i documenti da depositarsi non fossero rinvenuti al suo interno.
 
Fonte: altalex.com