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Gratuito patrocinio: il compenso va liquidato all’avvocato anche se l’istanza è tardiva

  Pubblicato il 21 Nov 2016  10:32
Tribunale, Mantova, decreto 29/09/2016
Il Tribunale di Mantova, con il provvedimento del 29 settembre 2016 affronta la problematica, in tema di gratuito patrocinio, relativa alla necessità o meno per il difensore di presentare al giudice la richiesta di liquidazione del compenso prima della definizione del procedimento, affermando che può procedersi alla liquidazione del compenso in favore del legale della parte ammessa a patrocinio a spese dello Stato che abbia presentato la relativa istanza dopo la pronuncia del provvedimento che chiude la fase cui si riferisce la relativa richiesta.
[qg_big] E ciò in quanto l’art. 83, comma 3 bis, D.P.R. n. 115/2002, nel testo attualmente vigente, non prevede in modo espresso alcuna decadenza dal diritto alla liquidazione del compenso, e che la reiezione della richiesta, in tale ipotesi, contrasta con la ratio della novella, tesa ad esigenze di accelerazione delle procedure di liquidazione e comporterebbe la necessità di instaurare un procedimento ex art. 702 bis c.p.c. nei confronti dello Stato debitore.
Il riferito provvedimento del Tribunale di Mantova si discosta, però, dalla giurisprudenza di legittimità e di merito, in cui si afferma che l’avvocato difensore di un cliente ammesso al gratuito patrocinio, deve chiedere al giudice, prima che si chiuda la causa, la liquidazione del compenso, liquidazione che avviene, dopo rituale istanza, con atto separato e distinto dalla sentenza ma sempre contemporaneamente alla pronuncia del provvedimento definitivo del giudizio (Cass. 31 marzo 2011 n. 7504). E ciò perché, con l’emissione del provvedimento che definisce il giudizio, il giudice si spoglia della potestas decidendi e non può più provvedere alla liquidazione avendo perso il relativo potere (Cass. 3 luglio 2008 n. 18204; Cass. 22 luglio 2003 n. 11418).
Occorre, peraltro, ricordare che l’art. 83, comma 783, comma 3 bis, del D.P.R. n. 115/2002, introdotto dall’art. 1, comma 783, L. n. 208/2015 (Legge di stabilità 2016), ha stabilito espressamente che “il decreto di pagamento è emesso dal giudice contestualmente alla pronuncia del provvedimento che chiude la fase cui si riferisce la relativa richiesta” e cioè contemporaneamente ma con provvedimento distinto dalla definizione del giudizio. Al giudice non è consentito liquidare il compenso spettante alla parte ammessa al gratuito patrocinio se non al momento della decisione.
Il provvedimento di liquidazione adottato dal magistrato riveste la forma del decreto quale atto separato e distinto dal provvedimento definitorio della fase processuale. Il decreto costituisce un autonomo titolo di pagamento, con percorso “diverso” dalla sentenza per ottenere l’esecutività del decreto.
E’ da escludersi che l’art. 83, comma 3 bis, D.P.R. n. 115/2002, inserito dalla Legge di stabilità 2016, abbia introdotto un onere, di carattere generale, per il difensore della parte ammessa al patrocinio erariale di depositare la richiesta di liquidazione entro la chiusura della fase, a pena di inammissibilità o di decadenza, stante la mancanza di una espressa previsione del legislatore di una simile decadenza. Una volta che il giudizio sia stato dichiarato estinto, però, viene meno il potere del giudice di provvedere sulla istanza di liquidazione del compenso avanzata dal difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, con la conseguenza che va dichiarato non luogo a provvedere sull’istanza che sia stata presentata dopo quel momento (Trib. Verona 24 aprile 2016).
Si è precisato che la liquidazione del compenso spettante per il patrocinio a spese dello Stato in materia civile può essere effettuata con ordinanza contestuale al provvedimento che definisce la fase cui si riferisce la relativa richiesta, anche nei procedimenti pendenti anteriormente al 1 gennaio 2016.
In ordine al decreto di pagamento pronunciato oltre lo sbarramento della fase decisoria, la giurisprudenza prevalente (Cass. 22 luglio 2003, n. 11418) è nel senso che tale decreto di pagamento costituisca un atto abnorme, ricorribile in cassazione ex art. 111 cost., con la conseguenza che il giudice richiesto della liquidazione dopo aver definito il processo, deve pronunciare il “non luogo a provvedere”. Contra, nel senso che il provvedimento di potere è da qualificarsi come illegale ma non inidoneo, Cass. 3 luglio 2008, n. 18204.
Il magistrato, in caso di eventuale presentazione della richiesta di liquidazione successivamente alla definizione del giudizio, deve considerare la richiesta come inammissibile.
In caso di omesso deposito dell’istanza di liquidazione della parcella prima che si definisce la fase del giudizio cui si riferisce l’attività difensiva, all’avvocato, per ottenere le proprie spettanze, non resta che agire in via ordinaria o ingiuntiva, quindi con apposito giudizio (Trib. Milano decreto 22 marzo 2016).
Il difensore che non presenta la richiesta di liquidazione (o la presenta tardivamente), non decade dal relativo diritto potendo richiedere il compenso spettantegli con procedimento ordinario o con ingiunzione di pagamento.
Infatti, il difensore che non ha chiesto il compenso prima della fine del processo, non decade dal diritto di ottenerlo, ma può sempre domandarlo, entro il termine di prescrizione del diritto stesso, con procedimento ordinario o con ingiunzione di pagamento (Cass. 31 marzo 2006 n. 7633), allegando tutti i documenti che dimostrano la sussistenza dei requisiti per l’accoglimento della domanda. Va evidenziato che l’estinzione della prescrizione del diritto del difensore alla liquidazione del compenso non può essere rilevata d’ufficio dal giudice, ma deve essere eccepita dal debitore (Cass. pen. 26 novembre 2008, n. 3647).
La richiesta di liquidazione delle spettanze processuali in questione, potrà depositarsi solo al giudice innanzi al quale l’attività difensiva è svolta. Solo nelle ipotesi di ammissione al patrocinio c.d. sopravvenuta, il giudice può provvedere alla liquidazione del compenso anche per le fasi e i gradi anteriori al giudizio (Ministero della Giustizia, Ufficio I, 17 ottobre 2014. 0138763.U).
L’istanza di liquidazione potrà anche essere depositata in udienza (tranne che avanti la Corte di Cassazione) prima che l’autorità giudiziaria si ritiri in camera di consiglio o riservi la decisione.
L’autorità giudiziaria provvederà a decidere sull’istanza di liquidazione durante la camera di consiglio per la decisione del giudizio e darà lettura del decreto di liquidazione dopo quella del provvedimento conclusivo del giudizio.
Il compenso spettante alla parte ammessa a gratuito patrocinio non può, quindi, essere liquidato in sentenza dovendo intervenire la liquidazione a mezzo di apposito decreto di pagamento (Cass. 31 marzo 2011, n. 7504): l’art. 83, comma 3 bis, del D.P.R. n. 115/2002 dispone che il decreto di pagamento è emesso dal giudice contestualmente alla pronuncia del provvedimento che chiude la fase cui si riferisce la relativa richiesta. E ciò con il chiaro intento di accelerare la procedura di erogazione dei compenso da liquidarsi da parte dei magistrati a favore dei difensori.
E’ opportuno evidenziare che in mancanza di una espressa domanda-istanza, il giudice non può liquidare d’ufficio il compenso che spetta all’avvocato della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato. E’ necessario, quindi, un atto di impulso della parte ammessa al gratuito patrocinio (Cass. 13 maggio 2009, n. 11038).
In mancanza della “richiesta” il giudice non può emettere d’ufficio il decreto di liquidazione dei compensi spettanti all’avvocato per le attività difensive prestate a favore dei non abbienti.
La liquidazione del compenso al difensore dell’imputato ammesso al patrocinio a spese dello Stato appartiene alla competenza del giudice della fase o del grado in relazione al quale è stata prestata l’opera del professionista, in quanto quest’ultima è compiutamente apprezzabile solo dal giudice dinanzi al quale l’attività si è svolta (Cass. pen., sez. IV, 27 maggio 2005; App. Venezia 7 ottobre 2004); e ciò anche se il processo è transitato in altra fase o grado (Cass. pen. sez. V, 8 febbraio 2005).