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Cancellazione della società di capitali: cosa succede ai debiti sociali?

  Pubblicato il 06 Set 2017  10:59
Cassazione Civile, sez. I, sentenza 22/06/2017 n° 15474
L’orientamento giurisprudenziale prevalente di legittimità ha precisato (Cfr. sent. 31 gennaio 2017, n. 2444), in aderenza peraltro al dettato normativo – art. 2495 c.c. , secondo cui dopo la cancellazione della società di capitali “i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione” - che i soci solo se e nella misura in cui abbiano riscosso importi dal bilancio finale di liquidazione, subentrano dal lato passivo nel rapporto col creditore insoddisfatto solo se e nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione, di modo che l'accertamento di tali circostanze costituisce presupposto della assunzione, in capo a loro, della qualità di successori e, correlativamente, della legittimazione ad causam ai fini della prosecuzione del processo.
In buona sostanza, secondo detto pacifico orientamento se i soci nulla hanno percepito a seguito dell'approvazione del bilancio finale di liquidazione e della conseguente cancellazione della società, la causa del creditore insoddisfatto si estingue, perché non c'è più nessuno contro cui rivolgersi: la società è estinta ed i soci non avendo ricevuto nulla, nulla debbono.
Diversamente ha statuito altra sezione della stessa Corte - con la sentenza n. 9094 del 7 aprile 2017  -, in quanto – a suo avviso - i soci sono coloro che sono destinati a succedere nei rapporti debitori già facenti capo alla società cancellata, ma non definiti all'esito della liquidazione, indipendentemente, dunque, dalla circostanza che essi abbiano goduto di un qualche riparto in base al bilancio finale di liquidazione. Non solo, che i soci abbiano goduto, o no, di un qualche riparto in base al bilancio finale di liquidazione non è dirimente neanche ai fini dell'esclusione dell'interesse ad agire del creditore.
La possibilità di sopravvenienze attive o anche semplicemente la possibile esistenza di beni e diritti non contemplati nel bilancio non consentono di escludere l'interesse del creditore a procurarsi un titolo nei confronti dei soci, in considerazione della natura dinamica dell'interesse ad agire, che rifugge da considerazioni statiche allo stato degli atti. Il ricorso avverso i soci di una società estinta è ammissibile, in quanto il creditore ha interesse ad agire, anche se nessuna somma è stata a loro ripartita, per l'accertamento del proprio diritto, dovuto alla possibile esistenza di beni e diritti non contemplati nel bilancio finale di liquidazione.
Con la sentenza in commento - sent. 22 giugno 2017, n. 15474 - , la 1^ Sezione della Suprema Corte ribadisce, invece, che gli ex soci subentrano alla società estinta soltanto nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione, per il che l’accertamento dell’esistenza di un attivo distribuito si configura quale necessario presupposto per l’assunzione della qualità di successori in capo agli ex soci e della conseguente legittimazione passiva per l’eventuale condanna.
Il socio diventa successore della società estinta soltanto ove, ex art. 2495, co. 2, c.c. , abbia riscosso somme in base al bilancio finale di liquidazione.
Secondo i Supremi Giudici, i creditori debbono fornire la relativa prova, atteso che “E’ evidente che la percezione della quota dell’attivo sociale assurga a elemento della fattispecie costitutiva del diritto azionato dal creditore nei confronti del socio: sicché, in base alla regola generale posta dall’art. 2697 c.c. , tale circostanza deve essere dimostrata da chi faccia valere il diritto in giudizio”.