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Avvocati: sì a onorario salato se si dimostra la complessità della causa

  Pubblicato il 15 Lug 2016  10:09
Cassazione Civile, sez. II, sentenza 22/01/2016 n° 1202
Con la sentenza in rassegna la Corte di Cassazione si è pronunciata su una vicenda nata da ricorso per decreto ingiuntivo con il quale un avvocato aveva chiesto ad un cliente, e successivamente ai suoi eredi, il pagamento dell’attività professionale prestata.
Pare opportuno preliminarmente ricostruire le varie fasi processuali. 
Con atto di citazione proposto per opporsi al decreto ingiuntivo, col quale veniva richiesto il pagamento di lire 103.174,275 per attività svolta in materia ereditaria, peraltro non portata a compimento, è stato evidenziato oltre all’errato calcolo del valore della pratica, anche il fatto che a carico degli eredi sarebbe stata solo la quota di loro spettanza e non l’interno compendio. 
Il giudice di prime cure ha confermato il decreto e, in sede di appello, il compenso della parcella è stato ridotto notevolmente, fino ad un importo di euro 25.332,00.
Per corroborare la propria decisione, la Corte di appello di Bologna precisava che non solo diritti, spese e onorari erano stati computati in maniera inesatta ma anche che detti importi , atteso che l’avvocato fino al 1988 era un procuratore legale, avrebbero dovuto essere ridotti della metà fino a tale data.
Chiarito che l’attività professionale era consistita nella divisione giudiziale e liberazione di beni propri dell’assistito poi deceduto, sottoposti a procedure esecutive in quanto beni pro indiviso con altri comproprietari destinatari di azioni esecutive e che era stata svolta anche a favore di altre persone facenti parte del nucleo familiare, autonomamente costituite ed estranee al mandato, per la Corte d’Appello nessun compenso poteva essere richiesto per l’attività espletata in favore di questi.
Inoltre, il valore della causa, calcolato sull’intero compendio pari a 5 miliardi di lire, andava rapportato al valore della quota oggetto di divisione (850 milioni di lire)  e a nulla è valso il tentativo di dimostrare la grandiosità dell’attività legale svolta, ritenuta invece modesta in quanto espressasi prevalentemente in via stragiudiziale. 
Il successivo ricorso in Cassazione proposto dall’avvocato avverso la citata pronuncia si è fondato su due motivi, a cui i resistenti hanno risposto con un motivo incidentale.
La motivazione della sentenza prende le mosse da una precisazione preliminare , basata sulla eccezione di inammissibilità proposta dagli eredi, la quale viene prontamente risolta rifacendosi alla sentenza delle SS.U.U. n. 19051 del 2010 ai sensi della quale: “Il ricorso scrutinato ai sensi dell’art.360 bis n.1 cod. proc. civ. deve essere rigettato per manifesta infondatezza e non dichiarato inammissibile, se la sentenza impugnata si presenta conforme alla giurisprudenza di legittimità e non vengono prospettati argomenti per modificarla, posto che anche in mancanza , nel ricorso, di argomenti idonei a superare la ragione di diritto cui si è attenuto il giudice del merito, il ricorso potrebbe trovare accoglimento ove, al momento della decisione della Corte, con riguardo alla quale deve essere verificata la corrispondenza tra la decisione impugnata e la giurisprudenza di legittimità, la prima risultasse non più conforme alla seconda nel frattempo mutata”.
I due motivi proposti dalla ricorrente sono stati trattati congiuntamente dalla Corte, la quale, sul primo punto, ha ritenuto che, al fine del computo degli onorari, il valore delle cause vertenti in materia di divisione vada determinato in base al valore della quota o dei supplementi di quota in contestazione, rifacendosi a quanto asserito dall’art. 6 comma 1 del D.M. n. 127 del 2004 il quale deroga ai principi generali del nostro ordinamento in materia di calcolo di onorari ex art.12 cpc (in senso conforme Cass. n. 6785 del 2012). 
Inoltre, le azioni intraprese per la liberazione dei beni, sottoposti a procedure esecutive svoltesi in via stragiudiziale, erano preordinate ad altre attività processuali, dipendenti dal mandato ricevuto e, pertanto, correttamente equiparate ai fini del calcolo del compenso come attività processuale. Infine, in relazione alla supposta violazione dell’art. 5 del Tariffario Professionale, gli onorari possono essere raddoppiati o addirittura quadruplicati ma non per questo devono necessariamente esserlo, come invece pretende la ricorrente. In effetti, la valutazione della particolare o addirittura straordinaria importanza, della complessità, della difficoltà della pratica è rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito , la cui discrezionalità già si esplica nella determinazione del compenso, sulla base dei medesimi parametri, tra i minimi e i massimi stabiliti nella tabella allegata alla tariffa stessa.
D'altronde, del potere discrezionale di stabilire che una controversia si presenti di straordinaria importanza e possa, quindi, anche consentire il raddoppio dei massimi degli onorari, va giustificato ( come in tutti i casi di uso di un potere discrezionale extra ordinem) solo l'esercizio e non anche il mancato esercizio.”
Il ricorso della professionista è stato quindi respinto.