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Telefonia: il recesso da un operatore non può comportare per legge dei costi

  Pubblicato il 25 Ott 2016  11:00
Tribunale, Taranto, sez. II civile, sentenza 28/09/2016 n° 2707
Il recesso non può comportare per legge dei costi, comunque denominati e neanche indiretti. Lo ha stabilito il Tribunale di Taranto con la sentenza n. 2707 del 28 settembre 2016, sulla base di quanto contenuto nell’art. 1, co. III della legge n. 40/2007, che convertiva il decreto legge n. 7-2007 (c.d. decreto Bersani): “I contratti per adesione stipulati con operatori di telefonia… devono prevedere la facoltà del contraente di recedere dal contratto e di trasferire le utenze presso altro operatore senza vincoli temporali o ritardi non giustificati e senza spese non giustificate dai costi dell’operatore …”
Quest’ultima’espressione usata dal legislatore è stata l’oggetto del dibattito affrontato dal Tribunale di Taranto: “e senza spese non giustificate dai costi dell’operatore…”.
Il “senza spese” non può essere interpretato nel senso di privare di contenuto precettivo la prima parte, con l’utilizzo dell’escamotage contenuto nella seconda parte: “non giustificate dai costi dell’operatore”. In tal modo si rischierebbe di addebitare spese illegittime.
Nel caso di specie, inizialmente la domanda era stata proposta dal sig. M. con citazione regolarmente notificata al Giudice di Pace di Taranto contro la Wind Telecomunicazioni S.p.A., a causa delle spese addebitate illegittimamente nell’ultima fattura: oltre al regolare canone, figuravano euro 35.00 per attività di migrazione verso altro operatore ed euro 33,06 + I.V.A. per contributo vendita apparato.
L’attore sosteneva di non dover pagare la prima somma sulla base di quanto stabilito dall’articolo 1 del decreto Bersani poc’anzi richiamato. Riguardo alla seconda somma contestata, dichiarava invece che nel contratto non era stato previsto a carico dell’utente alcun obbligo di acquisto dell’apparecchio telefonico, che gli era per questo motivo stato dato in comodato gratuito.
Il sig. M decide comunque di pagare la fattura per non incorrere in morosità e di avanzare un reclamo per le somme contestate, verso il quale la Wind non ha dato alcuna risposta. In merito a quest’ultima richiesta, l’attore ricorda quanto contenuto nell’art. 11 della delibera n. 73-11- Cons. “Per ogni giorno di ritardo nella risposta l’operatore è tenuto a pagare 1,00 euro fino ad un massimo di trecento euro; rimaste senza esito le richieste di chiarimenti, opinava la difesa istante, aveva così maturato a tale titolo un credito di euro 300,00.” Quindi, chiede la condanna al pagamento della somma di euro 75,00 per i due costi della fattura ritenuti non dovuti, euro 300,00 per l’indennizzo sopra descritto ed euro 200,00 a titolo di risarcimento di danni.
La Wind si difende richiamando proprio l’articolo del decreto Bersani addotto dall’attore a sostegno della sua tesi. La somma di euro 35,00 sarebbe stata addebitata al cliente per l’avvenuto passaggio dell’utente ad altro operatore, giustificata quindi nella disattivazione della linea telefonica e di conseguenza nella sua riattivazione in favore del nuovo operatore. In risposta alla contestazione della prima somma la convenuta ricorda che tale costo, peraltro ridotto rispetto a quanto accadeva un tempo, era stato pure approvato dall’AGCOM (successivamente contestata dal tribunale di Taranto.)
Aggiunge che il contributo per la vendita dell’apparato in caso di disattivazione anticipata era regolato dall’art. 6.3 condizioni generali di vendita, che ne giustificava sul piano causale il contributo vendita. Contesta quindi la fondatezza della domanda risarcitoria.
Il Giudice di Pace con la sentenza impugnata accoglie la domanda principale condannando la Wind a pagare la somma di euro 75,00 e di euro 300,00 a titolo di indennizzo; rigetta, infine, la domanda risarcitoria. Con l’appello la Wind chiede la integrale riforma della sentenza, mentre l’appellato ne chiede la conferma.
Il Tribunale di Taranto conferma in toto la sentenza appellata sulla base di quanto segue.
Le disposizioni introdotte dal decreto Bersani, altro non sono, che una conferma della interpretazione sulla gratuità del recesso. “Come reso palese dalla lettera della norma ma soprattutto dall’intenzione del legislatore il recesso in parola non deve comportare un costo (vedi art. 12, I co., delle Preleggi: “Nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse e dalla intenzione del legislatore”).
L’intento del legislatore evidentemente è quello di favorire la concorrenza piena nel mercato della telefonia eliminando i costi correlati al recesso operato dall’utente – parte debole del rapporto.
Il costo di disattivazione o a maggior ragione quello di migrazione, posto che in quest’ultimo caso si ha un passaggio dell’utente ad altro operatore, di per sé non può giustificarsi, alla luce del precetto normativo sopra evocato, perché si finirebbe per rendere oneroso il recesso, che invece la legge ha voluto gatuito.
Solo i costi diversi e quindi quelli non strettamente correlati al recesso - ed all’operazione conseguente della disattivazione - potrebbero essere sopportati dall’utente.”
Quanto anzidetto, viene supportato dal Tribunale di Taranto con il riferimento alla disciplina preesistente al decreto Bersani, che già si indirizzava chiaramente verso una ma maggior tutela del contraente debole, ovvero gli art. 1341 e 1342 c.c., e la previsione di nullità c.d. di protezione, ex art. 33 della legge 203 del 2005 (codice del consumo).
L’art. 1, co. III della legge n. 40/2007, ha quindi voluto introdurre una ulteriore norma di favore per l’utente nel senso della necessaria gratuità del recesso.