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E' dipendente, non consulente, chi usa mezzi aziendali e rispetta orari di lavoro

  Pubblicato il 17 Ott 2016  13:11
Cassazione Civile, sez. lavoro, sentenza 21/09/2016 n° 18502
Con la sentenza 21 settembre 2016, n. 18502 la Suprema Corte ha analizzato nuovamente l’annosa questione concernente il confine tra la collaborazione autonoma e il lavoro subordinato.
La Suprema Corte, ricostruendo le risultanze istruttorie, in virtù del  dettato dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nel senso di cui alle Sezioni Unite n. 8053/2014, secondo cui la lacunosità e la contraddittorietà della motivazione possono essere censurate solo quando il vizio sia talmente grave da ridondare in una sostanziale omissione, sostiene che nel caso di specie la Corte d’Appello di Salerno abbia puntualmente argomentato in ordine alla sussistenza della subordinazione, facendo, in particolar modo, riferimento alle deposizioni dei testimoni.
Dalle testimonianze infatti, si evince che la lavoratrice era tenuta a rispettare orari di lavoro identici agli altri dipendenti, che utilizzava gli stessi mezzi e strumenti di lavoro del datore e che era stata licenziata quando aveva chiesto di poter svolgere la prestazione con diverse modalità.
Bene dunque aveva argomentato la Corte d’Appello di Salerno in riforma della Sentenza del Tribunale della medesima città, affermando la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti, pur a fronte della stipula di contratti con consulenza.
La Corte d’Appello nello specifico non aveva dichiarato la conversione del rapporto di lavoro a tempo determinato come illegittima apposizione del termine contrattuale, bensì aveva affermato la nullità del licenziamento come conseguenza della natura subordinata del contratto di lavoro formalmente qualificato come autonomo. A detta nullità conseguiva quindi, l’insussistenza dell’effetto risolutivo del recesso e l’obbligo di corrispondere le retribuzioni perdute a titolo risarcitorio.
In conclusione la Suprema Corte ha condiviso le argomentazioni della Corte d’Appello di Salerno in ordine alla sussistenza degli indici della subordinazione, condannando parte datrice al pagamento delle spese processuali oltre che al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.