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Buche stradali: il pedone deve provare il nesso causale, non la pericolosità

  Pubblicato il 04 Ott 2016  09:18
Cassazione Civile, sez. VI-3, ordinanza 05/09/2016 n° 17625
La Corte di Cassazione torna ad esaminare le problematiche sottese ai casi di danni a pedoni, originati dalle precarie condizioni del manto stradale, ed alle relative richieste di risarcimento avanzate nei confronti del Comune, quale responsabile per danno cagionato da cosa in custodia ex art. 2051 c.c. 
La Suprema Corte, investita del ricorso proposto avverso la sentenza con la quale la Corte d’Appello di Catanzaro aveva rigettato la domanda avanzata da un pedone, nei confronti del Comune di Bisignano, avente per oggetto il risarcimento dei danni patiti in seguito ad una caduta provocata dal manto stradale sconnesso, esamina il problema relativo all’onere probatorio a carico del danneggiato, distinguendo tra la prova del nesso di causalità e la prova della pericolosità della cosa. 
La prova circa l’intrinseca pericolosità della cosa, veniva invero ritenuta dalla Corte d’Appello, determinante ai fini dell’accoglimento della domanda, in assenza della quale, pur essendo provato il legame causale tra la cosa e il danno, veniva rigettata l’istanza di risarcimento proposta dalla parte attrice, danneggiata dal sinistro. 
L’onere probatorio a carico del danneggiato, veniva ritenuto assolto solo con la dimostrazione che lo stato dei luoghi presentasse un’obiettiva situazione di pericolosità, o che sussistesse una potenzialità dannosa intrinseca tale da dimostrare l’oggettiva responsabilità del custode.
Tali considerazioni vengono definite nella sentenza de quo, non coerenti con l’ormai consolidata e più recente interpretazione dell’articolo in esame, da parte della Corte di Cassazione.
I Giudici della Suprema Corte, in primo luogo, sostengono che la Corte d’Appello di Catanzaro abbia scambiato la prova del nesso di causa con quella dell’assenza della colpa, ed in seguito ribadiscono quanto già affermato in precedenti sentenze, specificando che ove il nesso causale sia già dimostrato, non è necessario fornire la prova della pericolosità della cosa. Quest’ultimo elemento è un utile indizio, che consente di risalire, tramite una presunzione ex art. 2727 c.c., alla prova del nesso di causa, ma ove quest’ultimo sia aliunde positivamente accertato, non è più necessario stabilire se la cosa fosse pericolosa o meno.
La Suprema Corte evidenzia che anche il custode di cosa non pericolosa risponde ex art. 2051 c.c., allorquando sia stato accertato e dimostrato un valido nesso di causa.
Occorre a tal riguardo evidenziare che l’unica possibilità per il custode, di esimersi dalla responsabilità, è costituita dalla prova del fortuito, della sussistenza di un evento esterno ed imprevedibile, che sia in grado di escludere il nesso eziologico tra cosa e danno,  interrompendo il processo eziologico di determinazione del danno e dando inizio ad una diversa ed autonoma sequenza causale. Anche la condotta negligente del danneggiato, può assumere rilevanza in tal senso.
Esclusa la sussistenza del fortuito, il cui onere probatorio sarebbe stato a carico dell’amministrazione convenuta, e pacificamente provato il collegamento eziologico tra la cosa in custodia ed il danno cagionato, che nel caso in esame era stato ammesso espressamente dalla stessa Corte d’Appello che aveva emesso la sentenza impugnata, non vi è ragione per respingere la domanda di risarcimento proposta dal danneggiato.
Per le sopra esposte considerazioni, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, cassando la sentenza impugnata e rinviando la causa alla Corte d’Appello di Catanzaro in diversa composizione.